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Eccolo il libro su mio padre e la sua attività di artista. Una monografia corredata da 500 fotografie e tanti documenti inediti. Ci sono voluti undici anni, tanta pazienza e tanti sacrifici, ma eccolo qua in versione italiana tutta a colori e con copertina rigida. La versione in inglese sarà pubblicata tra tre mesi…
di Marina Agostinacchio. L’Idea Magazine, 1 agosto 2021
Quando ho ricevuto da Tiziano Thomas Dossena il libro, di cui egli è anche curatore, ” Federico Tosti − poeta antiregime − editore Idea Press, mi sono ritrovata di fronte a un volume nel quale si può riscontrare una cospicua produzione scritta, in prosa e in poesia e corredato da una attenta documentazione fotografica. Dossena, per la composizione del libro, ha dovuto organizzare la mole di materiale, fornito da Fiorella e Adriana, figlie di Tosti, compiendo, inoltre, personalmente un’indagine conoscitiva degli avvenimenti della vita del poeta. Il curatore, struttura, inoltre, in paragrafi, gli scritti di Tosti, introducendoli ogni volta con una premessa storica, atta a contestualizzare l’ opera del Tosti stesso.Uomo dalla statura morale alta
I testi in prosa e in poesia cadenzano il ritmo degli anni del ventennio. Quanto emerge dalla lettura del libro è indicativo di un’ anima “bella”, limpida; è la testimonianza di un uomo dalla statura morale alta, coerente alle sue scelte avverse al fascismo, dichiarate con verità, decisione, sarcasmo, ironia. Lettere, racconti, poesie, sonetti sono per il lettore occasione di riflessione, un riferimento a un modello di pensiero e atteggiamento, un senso di appartenenza a una comunità offesa, oltraggiata, a cui lo scrittore dà voce, in una lingua dialettale − il suo romanesco − ( quando si tratta dei testi poetici) che lo appaia in un terreno comune di borgata, al suo popolo.
Tosti nel giorno del festeggiamento dei suoi cento anni.
La narrativa
Per avere un quadro organico della vita e della figura artistica di Tosti, penso sia opportuno partire dalla sua produzione narrativa. Essa palesa quanto ripreso o portato in parallelo da quella poetica: il pensiero civico politico di un uomo “libero”. Prosa e poesia viaggiano specularmente nel loro atto di denuncia e di opposizione al regime e ai personaggi artefici e mallevadori di quel regime. Se prendiamo ad esempio Le Lettere, facendo riferimento alla prima, inviata da Tosti all’amica Tilde il 20 gennaio 1945, leggiamo come, senza mezzi termini, Tosti espliciti il proprio rifiuto a stringere la mano a un collega di lavoro dell’amica al momento della presentazione. Lo scrittore non intende giustificarsi, anzi, più che mai sostenere le proprie ragioni. Come avrebbe potuto egli tendere la mano a un fascista convinto? Tutta la lettera vibra di sentimenti patriottici, “Io odio con tutta la forza del mio spirito i mostri che hanno morso il seno della loro madre. Essi mi hanno sconvolto la vita…” dirà ad un certo punto Tosti. Il testo ha ricchi riferimenti storici, dall’illusorio episodio del 25 luglio, alla “resurrezione” del Duce e a quanto seguì fino alle Fosse Ardeatine, ed infine la morte dell’amico Sandro Maitardi − “Oh Maitardi sublime! Mio Sandro! Dolce fratello di poesia e d’ amore!”−; Maitardi, simbolo degli assassinati tutti, da quelli di Cefalonia, Rodi e Coo, a quelli della sua Italia, vittima dei soprusi, degli assassinii, delle mortificazioni, di tutto un popolo dal passato grande.Lettera alla figlia residente negli USA
Vale la pena di suggerire al lettore di soffermarsi sulla lettera del 19 gennaio 1972, indirizzata alla figlia Fiorella, residente negli USA, in cui Tosti afferma di avere subito il Fascismo. Dirà a un certo punto, parlando della situazione politica frammentata italiana, di gruppi neofascisti. Egli si augura di non assistere alla rinascita della dittatura. Dirà, infatti, “E io spero di andarmene al Creatore, prima di rivedere in giro quei mostri in camicia nera; e prima di essere obbligato, come nel passato, ad indossarla di nuovo”. Appare chiaro il senso di autocondanna dello scrittore per non avere avuto sufficiente coraggio ad opporsi in modo conclamato al regime. Il curatore Dossena porta qui a discolpa del Tosti una argomentazione ragionevole a sostegno della scelta dello scrittore. Dossena afferma che un atto di opposizione dichiarato avrebbe comportato la messa in pericolo della famiglia Tosti. Prudenza e non certo vigliaccheria di Tosti, volontà di proteggere moglie e figlie, lui che frequentava persone antiregime, (Gino Giacomini, repubblicano antifascista, Omero Cian, nome di battaglia partigiana ‘Maitardi’), che in gioventù aveva frequentazioni con Bergamini, direttore del “Giornale d’ Italia”, voce del liberalismo monarchico, lui spesso seguito dalla polizia politica, lui che di certo non riluceva per fedeltà al regime, che dichiarava spesso la sua avversione al fascismo nell’ azienda in cui lavorava. Per di più il cognato, sindacalista comunista, “elemento sovversivo già segnalato alla polizia come pericoloso”, viveva con lui ed era spesso arrestato nel suo appartamento, e per poco non era finito alla Fosse Ardeatine (episodio raccontato dalla figlia Adriana). Appare così chiara l’onestà intellettuale del “nostro”. A tale proposito si veda anche quanto riportato da Dossena a proposito di informazioni biografiche su Tosti (Mario Concezio Ranalli, nelle note biografiche inserite nel libro di Federico Tosti” I fiori del giardino” del 1987) a pagina 37 del libro.In margine alla battaglia
Dei due racconti di Tosti riportati nel libro, desidero soffermarmi sul primo, ” In margine alla battaglia” del 1943. Il testo porta la premessa della figlia di Tosti, Adriana, chiamata affettuosamente dal padre Drinetta che contestualizza la narrazione collocando gli eventi nell’anno in cui, dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia, l’esercito tedesco, risalendo la penisola, pose la sua linea difensiva (la linea fortificata Gustav) tra Roma e il mare Adriatico. Ci racconta, Adriana, come il padre, preoccupato per l’ evolversi della guerra, ormai incombente su Roma, volle portarla al sicuro dalla zia che viveva in un paesino di montagna. Ma anche qui la situazione non era sicura, sicché Tosti andò in bicicletta da Roma a L’Aquila a riprendersi la figlia e ciò tra mille pericoli nel viaggio di andata come in quello del ritorno. Alla voce della figlia che filtra quanto accadde attraverso il ricordo, subentra la voce del padre − nel suo racconto − e l’ impressione avvertita dal lettore è quella di una parola pronunciata in diretta, senza il filtro della pagina. La narrazione procede di pari passo tra eventi storici raccapriccianti e riflessioni tenere nei confronti della figlia. Al freddo intenso si alternano immagini di carri armati, cannoni, autocarri pieni di soldati, odori di carne putrefatta; l’ unico pensiero che dà conforto e convinzione al viaggio è camminare “verso una meta d’amore sorretto dalla speranza di giungere” a prendere la figlia. La preoccupazione del padre per il pericolo incombente sulla “piccina” e sulla famiglia immergono il lettore spesso in uno stato d’ animo di coinvolgimento emotivo. ” Se un giorno anche noi dovessimo fuggire?… Come e dove ritroverò la mia creatura che ho mandato lontano?” dirà Tosti ad un certo punto. Il racconto procede tra incontri rivelatori di una umanità capace ancora di parola di conforto (vedi l’ episodio della vecchia della piccola stazione ferroviaria bombardata); di solidarietà (come l’episodio dei due contadini che danno da mangiare alla bambina e le offrono la condivisione del proprio letto per la notte, non senza provvedere allo scrittore, lasciandolo al caldo del focolare); e ancora di un’ umanità offesa e incapace di reagire, sospesa tra l’ orrore della guerra e l’umiliazione (episodio della donna di un casolare chiusa dal marito in casa per gelosia). Visioni di morti, di esplosioni, di pericoli continuamente incombenti punteggiano tutta la testimonianza di Tosti. Ma ciò che più resta di una storia vera come questa è l’amore di un padre per una figlia, amore sciolto nel suo essere rappresentato in un climax ascendente di stati d’animo. Nel viaggio in bicicletta, dove mette la bambina sul davanti come può, si aprono scenari di orrore e incredulità. Paure, riflessioni, consapevolezza del proprio ruolo di educatore nel porsi di fronte alle domande della figlia con verità e delicatezza, restituiscono alla Storia la sua dimensione umana sottraendola allo scacco delle vicende bestiali di quegli anni.Le poesie in romanesco
La ricchissima produzione poetica di Tosti copre l’arco di anni tra il 1937 e il 1945. Lo scenario su cui si snodano le composizioni rende palpabile il mondo degli oppressi, percepiti in una coralità di vita sospesa tra faticosa quotidianità, prevaricazioni, guerra, riflessioni e considerazioni di Federico Tosti. A restituire vivezza e immediatezza ad eventi, personaggi, pensiero, ecco la scelta linguistica del dialetto romano, in cui lo scrittore trova la possibilità di dire, comunicare la propria intenzione comunicativa, scevra da sottintesi, da giri di parole; semmai Tosti ricorre spesso ad analogie, descrizioni, sintetizzando stati d’ animo, facendo risuonare da sé al lettore, con l’ uso della rima e con l’ ironia mordace, il suo grido di opposizione, che poi è anche porre in evidenza la dignità umiliata di un’ umanità consapevole e di una ignara dello stato di cattività in cui è precipitata. Il libro ci presenta inizialmente poesie con strofe a numero non sempre uguale di versi. Una sezione cospicua e posta alla fine del volume consiste nei Sonetti tratti dal libro “Storia nostra de ieri”. Inizierò ora a soffermarmi su alcune poesie di Tosti particolarmente emblematiche per i riferimenti a personaggi e situazioni che hanno caratterizzato il periodo fascista.Gli Intoccabili
Il testo “Monarca”, del 1943, è riferito alla fuga del re a Brindisi. Tosti addita l’uomo, Vittorio Emanuele III quale responsabile del destino di un’Italia lasciata allo sbando tra vuoto di potere, ripresa dello stesso da parte di Mussolini, sangue del popolo “martire e tradito” che sarà versato. Il re è definito dallo scrittore “vampiro, immondo, scellerato”, a sottolineare la mancanza totale di consapevolezza del ruolo che un sovrano dovrebbe avere e a rimarcare il cieco egoismo e la viltà della “piccola” persona quale egli è. La poesia si snoda tra una terzina iniziale, due strofe centrali di cinque versi e una di sei versi finali. Così pure nel testo “Er nano malefico”, emerge, come bene annota Dossena, la figura di un re nano, non tanto in riferimento all’altezza, pur piccola, quanto alla meschinità, alla bassezza morale della persona. Le diciannove strofe risultano di lunghezza a maggioranza di sei versi, solo la prima è di cinque versi, a rima perlopiù baciata – e l’uso del vernacolo senz’altro predispone le ultime sillabe a “toccarsi” tra loro (nel caso si tratti di sestine, la seconda con la terza, la quinta con la sesta, mentre rimano la prima e la quarta). Si potrebbe sintetizzare la lunga sequenza di versi in quattro blocchi in cui scorrono agli occhi del lettore le “imprese memorabili” di un uomo a cui Federico Tosti, stigmatizzando i lati peggiori dell’operato, volge uno sguardo e un giudizio impietosi. Lo scrittore ci parla di un re che nega la libertà ai suoi sudditi, rinchiuso nel suo castello; di quest’ uomo ci vengono posti in evidenza la boria, l’ambizione e l’interesse a creare alleanze con Mussolini, da lui definito come ‘il Pagliaccio’ (“…dava ar Pajaccio piena carta bianca” e la Santa Chiesa che “concijava la fede con la panza/ e confermava co’ l’assoluzione/qualunque sia sopruso o malazione”). Del re Tosti tratteggia un quadro spregevole quando dice la sua incapacità di compiere un atto di riflessione a proposito della guerra: “…La guerra, in fondo,è n’avventura bella/ che bisogna tentà, dunque per cui/’Viva la guerra’ , si la guerra è bona,/ pe’ da sempre più lustro a la corona”. Se da un lato possiamo reperire nel testo la figura di un personaggio – re malefico, dall’altra, e a controbilanciarla, troviamo la descrizione di un popolo indifeso e incapace di qualsiasi tipo di negoziazione. Si tratta di un popolo che si ritrova un bel giorno un re Imperatore, costretto a indossare una divisa, a marciare a passo romano, un popolo spogliato della propria dignità, impossibilitato ad esercitare un pensiero critico su tutto quanto stava accadendo. Ci sono gli intoccabili, il re, Mussolini, l’alleato, e ci sono i sottomessi. Ma le prepotenze dei forti, ci dice sempre tra l’ironico e il serio lo scrittore, sortiscono un effetto di rivolta tanto che“…li popoli aggrediti/sartorno tutti in piedi inviperiti/strillanno, Dio ne liberi, ar soccorzo!/Tanto che un centinaio di nazzioni/Misero tutte mano a li cannoni”. Infine il re scappa, senza dignità, né preoccupazione di rimetterci la faccia di fronte alla nazione “Ma er ‘Vecchio Nano’ senza batter cijo/s’arrampicava p’arrimane a galla./ Ridotto a la funzione de ‘na palla/tramezzo a la burina e lo scompijo/ aprofittava de la confusione/pe’ sarvà la capoccia e la corona”. Lo vediamo nell’ultima scena disarcionato, con la lenza a pescare in riva al mare. Chiaro il riferimento all’esilio della famiglia a fine guerra, dopo il referendum. Leggere questi versi è come calarsi, in tempo reale, nella storia di una parte dello scorso secolo. Assistere inermi allo stravolgimento della propria esistenza, subire la guerra, viverne le conseguenze è l’operazione che sa fare con maestria Tosti con la sua parola tagliente e burlesca. Il sonetto a rime alternata pone al centro del discorso il delicato ruolo dell’educatore che deve essere modello di rettitudine e rispetto, per le giovani generazioni. Tosti dà voce a ciò con la tecnica descrittiva di una situazione contraria al suo pensiero.L’educazione fascista
Egli sa con maestria portare sulla pagina il concetto di ruolo educativo dell’adulto. Nelle prime due quartine, infatti, dice che “Pe’ guadambiasse er diritto de sta ar monno/ e pe’ fa’ faccia a tanti prepotenti…/ è bene d’ arrota’ l’ ogne e li denti”. Solo nelle ultime due terzine si rivela il motivo ispiratore del sonetto che dà spiegazione del titolo scelto per il testo: Li Balilla.Con la consueta capacità di immediatezza linguistica dimostrata nei suoi scritti in vernacolo, Tosti dà prova di saper penetrare nella vita distorta, nelle sue molteplici sfaccettature, propria di quegli anni. ” Ma devi conveni’ che nun è bello/ da’ a li ragazzi certi insegnamenti!…/ Io Nun posso vede’ li ragazzini/ doprà er fucile o manovrà er cortello…” Il tu con cui si rivolge a un pubblico volutamente non specificato rappresenta la coralità di voci che dissentivano da quel modo di educare i giovani. A questo proposito Dossena nella sua consueta introduzione alle pagine scritte di Tosti contestualizza il momento storico riportando queste parole “l’O.N.B.era finalizzata… all’ assistenza e all’ educazione fisica e morale della gioventù”. Mettere in mano ai ragazzini un fucile o insegnare loro ad adoperare il coltello era un compito educativo che rientrava in un progetto espansionistico di regime e, pertanto, ogni possibile conseguenza di atti criminali diveniva comunque assolvibile in nome di una fedeltà a quella dittatura militare. “‘Fascistizzare’ la società,” scrive Dossena nella pagina introduttiva allo scritto di Tosti, “a partire dai più giovani”. Nel sonetto “Er pupo” (7-8 Settembre 1938) l’ apertura è quasi visione iddilliaca. Un giardino, un pupetto “co’ gli occhioni fonni/ e li capelli ricci e bionni” sembrava più bello di un cherubino”. Ma ecco che l’ equilibrio della scena viene rotto dall’ apparizione di qualcosa di anomalo con cui gioca il bambino: in mano egli teneva un moschetto. Il contrasto tra la mano innocente del bambino e l’ arma a potenziale letale suscita nel poeta enorme impressione a misura di una punta di un pugnale nel petto. “Io ciò er fucile e faccio er Capitano!/Lui strillava, e mirava prepotente/ a un nemico invisibile e lontano”. A Tosti l’ espressione mimica e il tono della voce del piccolo dovettero apparire smisurati. Concentrato nel ruolo di carnefice, il “cherubino” subiva il fascino di quanto doveva vedere, sentire intorno a se stesso, se in quel gioco mimico si identificava con l’uomo forte che può tutto perché ha uno strumento che annienta un ipotetico nemico. L’interrogativo con cui chiude la terzina Tosti ruota attorno ai responsabili del traviamento delle anime candide e ignare dei bambini. Ancora una volta lo scrittore dà prova di denuncia con parole dal passo deciso e tenero allo stesso tempo. Parole modulate in climax ascendente. Apertura e chiusura di sonetto si misurano come in una tenzone dove al cherubino si sostituisce Caino.Mantener viva la memoria
È davvero compito arduo saper scegliere nel libro preso in esame i sonetti che meglio inquadrino personaggi e situazioni di un’ epoca che, allontanandosi progressivamente, si opaca e poco riesce a dire alle giovani generazioni Perciò mantenere viva la memoria di quello che fu l’Italia degli anni della dittatura è un preciso dovere di chi crede nei valori della democrazia E non è retorica ribadirlo. La testimonianza di Federico Tosti ci giunge davvero preziosa in un momento in cui l’ uomo europeo ha smarrito il senso del vivere sociale, il confine delle libertà individuali. Senza una bussola che l’orienti, egli cammina in un inciampo continuo. Quando ero bambina c’era chi, testimone diretto, mi raccontava gli anni dissennati del Paese. Ora, col passare dei decenni, ci rimangono le fonti scritte di fronte alle quali dovremmo accostarci pensando di entrare in un luogo sacro, un tempio che conserva le voci di tanti scomparsi e per i quali oggi non siamo più ostaggi della tirannia.Er Capoccia
In sette strofe, composte da quattro quartine e tre terzine, riusciamo a reperire, attraverso la parola incisiva di Tosti, l’arrampicata politica e sociale del Duce. Da socialista a “patriota”, Mussolini conquista il consenso di molti Italiani, sapendo egli dosare, alternandoli, nei discorsi pubblici voce urlata e corpo. L’obiettivo è il potere e per raggiungerlo si proclama nemico del comunismo, quello russo, che ha tolto la libertà e imbavagliato l’economia di libero mercato. Le camicie rosse saranno lo spauracchio contro cui combattere. Questo motivo distrarrà soprattutto la classe medio-alta degli Italiani dal vero nemico alle porte: il fascismo. “E sputa sopra a la bandiera rossa…” dirà Tosti. Da notare come il poeta dipinga il personaggio con tratti essenziali di penna “Fa er santo, ma cia’ er core da teppista!…/ E fa der male puro quanno sogna!…” Circa “il cuore di teppista”, Dossena ne chiarisce il senso, riportando una conversazione del 1938 tra Mussolini e il genero Galeazzo Ciano. Da essa trapela il disegno di prevaricare la monarchia appena possibile, una monarchia colpevole, secondo lui, di non avere mai agito in modo decisivo a sostegno del regime. Mussolini si auspica un’accelerazione del cambio della guardia, grazie a un intervento della natura sulla vecchiaia del re. Un passaggio che sarebbe risultato così spontaneo da Principe sottoposto a vero Princeps. Il punto di forza del Duce per inebetire la folla sono le parole: “Le butta fora a sacchi…a cariole” Circa poi le disuguaglianze tra cittadini Tosti scrive: “Se c’ è chi magna troppo e chi nun magna,/ e geme e soffre che je frega a lui…” A Mussolini non interessa la condizione del popolo, basta avere provveduto per sé; “der resto è un ‘sovversivo’ chi se lagna!…” “Ammazzatelo! ” concluderà Tosti, “Che straccio de canaja”.La bontà der Capoccia
La capacità di stigmatizzare l’operato del Duce in strofe dà la misura di come la disciplina dell’endecasillabo, chiuso in sonetto, offra un argine a quanto vorrebbe esplicitare il pensiero dello scrittore, pensiero che pertanto deve “dire” come un lampo che squarci il cielo. I sintagmi appaiono fiamme contorte, schegge che colpiscono il lettore attento a cogliere la sofferenza e la prepotenza disposte su due piatti di una bilancia perfettamente in equilibrio. “Da vent’anni ce rubba e c’assassina/senz’ ombra de pietà! Senza rimorso!” Le richieste del popolo hanno come risposta discorsi che mettono in luce come qualsiasi tipo di aiuto farebbero andare in rovina il Paese. Nelle ultime due terzine, l’ occhio di Tosti passa da una premessa riflessiva a una scena descrittiva in cui scorrono immagini di padri in guerra, mentre i figli restano a casa in miseria. Creperanno tutti quanti, ci dice lo scrittore. “Ma il duce è bono! Cià lassati gli occhi/ pe’ poté piagne sopra le sventure/d’ Italia!… E la miseria e li pidocchi”.Il fascismo e le sue conseguenze
Curiosando tra le composizioni poetiche di Tosti, mi soffermo su alcune che evidenziano in modo significativo i passaggi salienti della politica degli anni fascisti. Attraverso una carrellata di sonetti, presi in considerazione, entrerò nel cuore di eventi che hanno prodotto conseguenze di grande sofferenza. “Er discorso der federale” tratta delle leggi razziali promulgate dal Duce nel 1938. L’apertura del Sonetto è costruita ad arte. Ci appare infatti Er federale che parla alla folla in modo ieratico, pare un profeta che usa argomenti forti a sostegno della sua tesi: “Er popolo più mejo è l’Italiano!” Forti, intelligenti e belli, gli Italiani devono distinguersi dagli altri coabitanti del Paese che “so’ tutte pippe”. Perciò guai ai contatti. Nel suo modo consueto di presentare su un piatto problemi seri in modo scanzonato, Tosti sa sviscerare con acutezza linguistica eventi terribili, crivellando le coscienze dei lettori per un risveglio. Con la sua parola incisiva e tagliente, Tosti tratteggia “Li repubbrichini”, definiti “Teppa infame e farabbutta”; sono i fascisti in camicia nera “rifiuti de galera” che hanno cambiato denominazione ma sono sempre gli stessi. Sono l’ altra faccia di un popolo che assiste a un’Italia divisa, distrutta e per questo il poeta nutre sentimenti di avversione; egli difatti scrive ardo di sdegno, d’odio, de disprezzo”. Come in fotografie viste tante volte, o come in un film che riproduce situazioni politiche e sociali del periodo fascista, nel sonetto “La retata” assistiamo all’ incombere di camion che improvvisi appaiono, catturano uomini e donne per portarli nei campi di concentramento. Il poeta scrive “uno va a casa doppo na’ giornata/de stento, de fatica, triste e dura…/ ecco che casca dentro a la retata!” E viene deportato, messo a la tortura…sparisce!… E chi resta in casa non ha più notizie.” “La visita dell’ alleato” è contestualizzata, come per altri scritti, da Dossena che ci chiarisce alcuni versi del sonetto. In visita in Italia nel 38, Hitler arrivò in una stazione Ostiense sistemata alla meno peggio per l’arrivo dell’alleato tedesco. “Tre colonne de stucco e de’ cemento” scrive Tosti, riferendosi ai lavori della stazione Ostensie. Ci spiega Dossena che la struttura ferroviaria era costituita da una serie di tubi, ricoperta da assi di legno, su cui erano incollate lastre che dovevano simulare il travertino. Significativo il confronto tra l’alleato di oggi è il nemico della prima guerra mondiale. “Ieri me fece un bucio ne la panza…/ma quello fu uno sbajo… a quer che sento!”La propaganda fascista
“Lì cannibali civili” già nell’ ossimoro nome/aggettivo è un forte richiamo alla lettura del Sonetto. Nelle strofe, parole e frasi come: cannone, città ridotte a un mucchio de mattoni, “cità, case, paesi devastati, strade, campagne “arrivortate a corpi de cannone/ tra le rovine della distruzione, cataste de cadaveri…” si possono immaginare un’ unica scena sospesa tra riprese proiettate in uno schermo e realtà dove la vita si svolge fuori dalla telecamera. Ma qual è l’ obiettivo del poeta per questo suo scritto? Tosti ci vuole parlare della propaganda fascista attraverso i cinegiornali LUCE, proiettati al cinema. Così ci anticipa Dossena che le immagini di “parate, la vita nei campi, officine, cerimonie, curiosità dell’estero, guerre… i riferimenti al regime”, tutto era veicolo di idee di grandezza della dittatura. L’impiego di un linguaggio immediato, fatto di esclamazioni, messe da Tosti in bocca allo spettatore al cinema, riesce a fare sentire, per la durata di tre strofe, il sentimento di eccitazione del popolo che vedeva e ascoltava la voce narrante sulle prodezze del regime. Sull’uso del cannone leggiamo: “Eh, l’ omo ch’ha inventato ‘st’invenzione/ bisogna conveni’ ch’era un gran fusto…” E ancora: E pe’ cannoni er tedescaccio è l’ asso…” Ma poi lo scrittore sembra indicarci, nelle ultime due strofe, che tutta quell’ euforia appartiene solo agli esaltati perché la storia vera ci parla di “mamme co’ li pupi in braccio” ” Tramezzo ar fune, ar foco, ar carcinaccio,/ la fuga pazza de li disgraziati… ”La realtà della guerra
Il sonetto “Varsavia” mi riporta alla memoria una delle più belle poesie del Pascoli: “La mia sera” dove la mamma consola il bambino che ha visto il padre tornare morto su un calesse, con queste parole ” Mi dicono dormi, mi cantano dormi, mi sussurrano dormi, mi bisbigliano dormi”. Anche in Varsavia sono di scena una mamma e un bambino; ma il quadro cambia perché qui sono tempi di guerra. In un rifugio una mamma invita il bambino, spaventato dal rumore dei bombardamenti a dormire.”Perché c’ è tanto scuro, qui mammina?/ Mamma!… Portame via da ‘ sta cantina…/ Perché su in cielo c’ è tanto rumore?…/ Il finale si discosta dalle possibili affinità tra i soggetti delle due scene nei testi ( “La mia sera” e “Varsavia”). Il bambino si addormenta e al suo risveglio la mamma è ripresa dal poeta “Co’ gli occhi spalancati verso” le stelle a cui aveva rivolto lo sguardo anche il bambino. Tenerezza, candore, paura, coraggio di una mamma che rassicura il figlio dal buio, dal rumore dei bombardamenti, dal terrore di rimanere solo… Chi scrive, toccando sentimenti, emozioni così forti non può essere solo un puro creatore di “inventio”, finalizzate alla costruzione di un racconto. E Tosti negli scritti riportati in questo libro ci consegna la propria vita, la vita degli Italiani degli anni del regime, sdoganandoli dalla memoria, per essere faro, guida e orientamento ai naviganti di oggi nelle tempeste che si nascondono dietro l’ angolo.
Grazie a Tiziano Thomas Dossena, alle figlie di Federico Tosti la vita di un uomo, depositata organicamente in questo libro, trova compimento e universalità.
PUBLISHED BY: Idea Graphics LLC IMPRINT: Idea Press PUBLISHING DATE: July 2021 ISBN# 978-1948651271 LIBRARY OF CONGRESS # 2021942632 PAPERBACK: PAGE COUNT 264 LANGUAGE: Italian DIMENSION: 6″x9″ PRICE:$19.95
It was a year ago that I left my work at the end of my shift with an injured shoulder… The day after, I went to see an acupuncturist to relieve my pain. When I returned home from the doctor, I felt exhausted and went to rest. I woke up a couple of hours after that with a high fever… It was right then that my life changed… I could not have fathomed what the next months ahead would bring and that my life, and the life of all the people around me, was going to be changed forever.
The suspect that Covid19 could have been the cause of my fever was there, so from that moment I stayed in isolation in my bedroom. I was lucky I had a bathroom next to what became my quarantine room and no one else needed to use it, since we had a full bath on the lower level of the house. Soon the fever was lower but constant, and a slight cough persisted. Being that I was in bed most of the day, I believed that the sharp pain I felt in my back was due to lack of proper movement until I realized that it didn’t matter how and if I moved: the pain was not leaving me.
My daughter brought me to the emergency room in the Bronx on the 14th, and the situation in the hospital was chaotic. They saw me and determined that I probably had the flu… Strike One. They had no way to test me. I went home discouraged and distraught that I was causing so much mayhem to my family.
At that point I slept more during the day than at night, with the pain in my shoulder being only one of the many symptoms. I forgot altogether that I had injured myself, and my breathing started to be a little unpredictable…
On the 15th,my daughter arranged for me to see a doctor at Stamford Hospital and to get tested. The doctor determined that I probably had the flu. Strike two… They let me go home…
I waited patiently at home for a result of the test, to no avail. On the 17th, my daughter, ever a loving veterinarian, auscultated my chest and determined there was fluid in my lungs. She brought me back to Stamford Hospital, where they admitted me with pneumonia and the presumption that I had Covid19. I finally was tested for the virus.
The isolation room in the hospital was comfortable and had a marvelous view. The food was excellent; one could order from a menu and it would have felt like a vacation, other than I felt horrible and someone kept on injecting my chest with an anticoagulant… Being alone did not help. I had with me my tablet and received many calls via Messenger, Whatsup, and Facetime. If I didn’t know better I would have taught that I had become popular… Kidding apart, the contact with the outside world through those calls gave me strength beyond any medications or nourishment. I really was lucky. Both my family and friends kept in touch, Calls arrived from NYC, Florida, and Italy…The disease, even though not confirmed yet by any testing results, was definitely triggered by the infamous virus that was becoming a pandemic…
My health improved. My body was fighting it out with the virus and was winning… After five days of hospitalization I was tested again, and then released. I was feeling a little better by now, even though the pain in the back and the shoulder was still strong and the cough persisted. One unusual item was that I had not lost either my capability to taste food or my appetite. Then again, I had not lost my appetite even twenty years before when I was fighting cancer and dealing with chemotherapy and radiation therapy…
So, here I was, quarantined in my own bedroom, fearful of infecting my loved ones and wondering whether my world had gone crazy. Is this how the people who had to deal with pandemics or epidemic situations of the past lived their lives? No, I was lucky. I had a TV in my room, plenty of stuff to read, a laptop computer to use and much appetite (yes, as I said, that never really subsided). I don’t believe that people in the past had all these luxuries while in the midst of the Spanish flu or the plague… Most of all, though, I had people who cared, who loved me and feared for my life, who kept me from letting my fears take over…
Yes, I was lucky, but we all wanted to confirm that what had happened to me was what I, my family and the doctors suspected. The results of the two previous tests, though, were not available yet. Strike three.
By the 30th of March, my daughter was able to arrange for me to get tested again, this time in Westchester. We drove there. I had double masked and wore gloves and prayed that this was not going to be the cause of contagion for my daughter, who had sacrificed the last twenty days to assist my wife with my care. The procedure was smooth and two days after the results confirmed that I was positive for Covid19. I should say ‘still positive’, but at that point only one result was available and did not know what happened to the previous tests.
I stayed in isolation for the next fifteen days, always harboring the fear of contagion to others. I realize now the psychological stress and the type of work it involved for my wife and my daughter to keep me from spreading the disease to the rest of the house… By the following week the first two results finally arrived and confirmed our suspects. Wow, thank God I did not rely on those test to know whether I was infected or not! The brain remained foggy and the pains were still there, and it took another couple of months before they faded away, although at times sharp pains to the chest still come uninvited even today, after a year, as a reminder of what was.
Yes, it was a year ago… I still feel pains in my right shoulder, but it has been determined that it was a tear in the ligament and not Covid19 that caused that. I guess it will never go away completely, an eerie souvenir of that period, unrelated to Covid19, but still tied to it as a memory. I also cannot hear the music theme of NCIS without a flutter to the heart since I had the opportunity to watch all the old episodes on TV in my room during my isolation.
Yeah, and my daughter’s dog, Bunny, now follows me everywhere, and I mean everywhere. She was not allowed to enter my room for over two months and it must have caused a trauma of sorts that triggered what is now an anxiety issue tied to my presence, or lack of. It’s amazing to see how sensitive animals are to their environment. It is almost funny to see her follow every step I take with a serious expression, always making sure that I do not leave the room without her…
The difficult part of having lived this nefarious event it’s not having been sick or isolated, being in fear of getting other people sick or even maybe dying. The difficult part to accept is that the world is not the same anymore… More than half a million people died of this disease. A nation as mighty as the USA was placed on its knees by a virus and our lives have changed, and not for the better. We are not at peace. We live in a sci-fi movie atmosphere, walking around wearing masks, fearing each other‘s closeness, and hiding back in our houses as soon as we can. Even worse than that, we are now divided as a nation. Yes, divided. I am not going to pass a judgment on who is responsible and how this situation was triggered. So much has already been said by so many…
All I know, for sure, is that divided we don’t stand, we fall.
It has been only 12 years since the “Discovering Columbus” exhibit was opened to the public in Columbus Circle, NYC. It was a triumph at the time and now we have to hear people wanting to remove the statue or attempting to destroy the reputation of that great navigator. I reprint here the article that appeared at the time on L’Idea, Brooklyn Downtown Star, Queensledger, LIC/Astoria Journal, Glendale Register, Leader-Observer, Forst Hill Times, Glendale Register, Queens Examiner, and Greenpoint Star magazines.
Everyone can see how the situation has changed, but it is our responsibility as American citizens, and especially as Italian Americans, to uphold the right that Christopher Columbus detains to be honored in our society and to be an ever-present icon in our history textbooks.
Don’t let ignorant and unprepared people tell you otherwise on this great man, who deserves continuing recognition for having opened the opportunity for this land to become, even with all the defects it may have, the America we love and cherish.
By Tiziano Thomas Dossena
“A once-in-a-lifetime opportunity for visitors to experience a beloved New York City Monument like never before”. This is how the Public Art Fund, which commissioned the large-scale temporary art installation (September 20th to November 18th) around the historical monument by Gaetano Russo, in Columbus Circle, has defined Tatzu Nishi’s Discovering Columbus.
The author at the “Discovering Columbus Exhibit”. Photo Copyright 2012 Tiziano Thomas Dossena
It may be so: Nishi’s artwork will center on the sculpture of the famous explorer, providing a ‘living room’, equipped with all the proper furnishings of a common American living room and supported by metal scaffolding, which will allow viewing the statue up close, a really unique experience. Visitors will be able to distinguish the details of that statue, his features, his clothing and of course his gaze to the “New World” ahead, which are hard, if not impossible, to determine and appreciate from the ground, seventy feet below. Large, loft-style windows will also consent to the visitors a dramatic view of Central Park and Midtown Manhattan, making this occurrence truly a “once-in-a-lifetime opportunity.” Nicholas Baume, Public Art Fund Director and Chief Curator, ardently promoted this wonderful Art installation, and explained the origins of this project: “When Tatzu first visited New York City, he became fascinated with the statue. He realized that despite its central location the Columbus statue is barely visible, a solitary figure hiding in plain sight atop a column some 70 feet in the air. Tatzu felt it was time to give Columbus an apartment of his own, with Central Park views, and to throw an open house to which all of New York City is invited
The structure built around the base of the statue to enable people to visit the exhibit. Photo Copyright 2012 Tiziano Thomas Dossena
.” According to Baume, therefore, Tatzu “recontextualizes those different elements and creates almost a kind of surreal experience of something that is perhaps very familiar but that has become unfamiliar or is discovered in a new way through his work of art.” It is a revelation of something that is hiding in plain sight. Another positive aspect of this project is that the statue and the pedestal will have the opportunity to be clean for the occasion. The plan is to have 100,000 people climb up the stairs to behold from up close this marvelous sculpture, 50 persons at a time. To avoid long lines, tickets , which are free, will be available, as of the first days of September, at: http://www.publicartfund.org/discoveringcolumbus, and at Columbus Circle after the official opening of the installation on September 20th. This will allow visitors to see the statue by “appointment”, since the tickets will be timed (access to the public will be between 10 am and 9 pm).
Columbus Circle’s view from the statue. North direction. Photo Copyright 2012 Tiziano Thomas DossenaColumbus Circle’s view from the statue. South direction. Photo Copyright 2012 Tiziano Thomas Dossena
The problems with the project that the organizers have addressed are the installation’s safety, proper access for the handicapped, traffic snags caused by visitors, and the protection of the statue itself. One unforeseen issue, though, seems to be the reaction of some Italian Americans who say that instead of discovering Columbus, the creator is disrespecting him, to which Nicholas Baume responded: “It’s not about disrespecting, it’s about focus and attention to the great statue, and putting it into the context of the contemporary artist’s vision.” We fully agree with Mr. Baume’s view and look forward to visiting this marvelous art installation. As Mayor Bloomberg declared: “This fall, New York City will rediscover Christopher Columbus in a new and exciting way, thanks to the creativity of Tatzu Nishi.”
“A Feast of Narrative Volume Three,” which has been published shortly after Volume Two, contains a very interesting amalgam of different stories and authors. What is common, other than their belonging to the same ethnic group, is the validity of their content and the message they send to the readers. Some stories are funny commentaries on social gatherings of some kind, wakes included, or heartwarming fables, while others address different topics with a more somber tone, such as the constant search for our roots, the worn-out emotions of illegal immigrants, growing up in a large city, the Covid19 crisis, and so on. Regardless of the topic, these writers prove that passion for writing is another element they have in common with each other. This is their message and it proves that having them together in this anthology is the proper decision.
This anthology, second in this series of Italian American Writers, contains a very interesting amalgam of different stories and authors. What is common, other than their belonging to the same ethnic group, is the validity of their content and the message they send to the readers. Some stories are funny commentaries on social gatherings of some kind, wakes included, while others address different topics with a more somber tone, such as war events, the constant search for our roots, the changing of neighborhoods, the Covid19 crisis, and so on. Regardless of the topic, these writers prove that passion for writing is another element they have in common with each other. This is their message and it proves that having them together in this anthology is the proper decision.
A few more days and Volumes Two and Three of A Feast of Narrative will be published and available to the public. They are full of marvelous stories by 40 authors who identify themselves as Italian Americans but whose stories don’t necessarily narrate situations within their ethnic background. They are stories of love, misery, comedy, frustration, adventure, nostalgia, and so much more…
The landscapes of Emilio Giuseppe Dossena were well known in the years in which he produced them, as they were captivating to their audiences on many levels. He painted a variety of contrasting landscapes — from the soft valleys of Umbria to the centenary trees of Lombardy, from the sea cliffs of Liguria to the Alpine huts of Piedmont, from the gypsy caravans to the circus troupe encampment. Through his paint strokes, we were able to view the world as it was through his eyes, realistically and without gimmicks, an appeal that has set him apart from other artists of his time. This partial monograph (both in English and Italian) offers the opportunity to explore a selection of his landscapes works (62 color images) throughout his extended artistic career, introducing them to new generations. In seeing his artwork and the essence of his artistic expression, the reason for his success is revealed.
I paesaggi di Emilio Giuseppe Dossena erano ben noti negli anni in cui li produsse, poiché erano accattivanti per l’osservatore a molti livelli. L’artista dipinse una varietà di paesaggi contrastanti: dalle morbide vallate dell’Umbria agli alberi centenari della Lombardia, dalle scogliere marine della Liguria alle baite piemontesi, dalle roulotte zingare all’accampamento della compagnia circense. Grazie al lavoro delle sue mani, siamo stati in grado di vedere il mondo com’era attraverso i suoi occhi, realisticamente e senza espedienti, una caratteristica che lo ha distinto dagli altri artisti del suo tempo.Questa parziale monografia (in italiano ed inglese) offre l’opportunità di esplorare una selezione delle sue opere paesaggistiche (62 immagini a colori) nel corso della sua lunga carriera artistica, presentandole alle nuove generazioni. Nel vedere le sue opere d’arte e l’essenza della sua espressione artistica, viene rivelata la ragione del suo successo.
Il libro puo` essere ordinato su tutti i siti Amazon: Amazon.com, Amazon.it, etc.
Ecco una simpatica intervista fatta da Ornella Dallavalle nel suo blog a me e a mio padre (ipotetica)…
Intervista con la storia: Tiziano Thomas Dossena e Emilio Giuseppe Dossena
INTERVISTA CON LA STORIA 6
Il progetto è nato per sensibilizzare e raccontare il periodo di pandemia mondiale che stiamo vivendo. Chiederemo aiuto a personaggi illustri del passato, a quelle donne e a quegli uomini che hanno fatto la storia. Ascoltare la loro voce ci permetterà di riflettere e forse ci aiuterà ad affrontare questo periodo con maggior consapevolezza e saggezza. Sarà la persona intervistata a scegliere il suo ‘mentore’ e a farci ascoltare la sua voce, dopo aver passato almeno una settimana insieme a lei/lui attraverso letture, visioni di video, ricerche. I mentori potranno avere pareri discordanti, addirittura opposti, non siamo qui per giudicarli ma per ascoltare la loro voce, per capire cosa ci direbbero se fossero qui, ora, con noi. Oggi abbiamo con noi Tiziano Thomas Dossena e il suo mentore Emilio Giuseppe Dossena.
TIZIANO THOMAS DOSSENA
Tiziano Thomas Dossenaè nato a Milano dove ha vissuto per i primi sedici anni della sua vita. Emigrato con i genitori in America, ha completato il liceo e conseguito tre lauree prima di ritornare in Italia nel 1978, a studiare medicina. Per alcuni anni ha diretto un’azienda di esportazioni di materiale medico sanitario ma, alla morte del padre, è tornato negli USA, dove ha conseguito altre due lauree e ha iniziato a dirigere la rivista L’Idea Magazine, attività che porta avanti da oltre trent’anni. Tiziano ha anche fondato le riviste OperaMyLove e OperaAmorMio e ha vinto molti premi letterari, sia come giornalista sia come poeta. Ama l’Italia e per questo cerca di far conoscere le attività degli italiani all’estero: scrivendo articoli, pubblicando libri (è il direttore editoriale della casa editrice Idea Press) e gestendo un network nel quale gli italoamericani possano fiorire. Tiziano ha scelto come mentore il padre perché fu proprio lui a spingerlo a scrivere e ad amare l’arte in generale, oltre ad offrirgli un esempio essenziale su come l’essere umano debba comportarsi in una società.
EMILIO GIUSEPPE DOSSENA
Emilio Giuseppe Dossena è nato a Cavenago d’Adda (ai tempi nella provincia di Milano e ora in quella di Lodi) nel 1903. Dopo essersi laureato all’Accademia di Brera si appassiona a diverse forme di espressione artistica. È conosciuto non solo per i suoi quadri ma anche per le sue decorazioni (Villa Necchi, Villa Invernizzi, il Circolo dei Dadi, la Terrazza Martini, ecc.), per i suoi restauri (nel 1965-66 restaurò tutti gli affreschi del castello di Parrano, in Umbria) e le sue poesie.
Nel 1968 si trasferì a New York, dove visse per otto anni, lavorando come restauratore per lo studio Berger (che serviva il Metropolitan Museum di New York e altri musei nazionali) ed esponendo le sue opere in varie gallerie statunitensi, con grande successo di vendita. Le opere del periodo newyorchese si distinguono per la vivida colorazione e per la tendenza neo-espressionistica. Ritornò a Milano nel 1976 e l’Italia fece riemergere la sua vena neo-impressionista, ma con una colorazione legata all’esperienza americana. Negli ultimi anni di vita si dedicò anche alla scrittura di poesie.
Se Emilio Giuseppe Dossena oggi fosse qui:
Metterebbe la mascherina? Se sì, la metterebbe per proteggere sé stesso o per proteggere gli altri?
Non ci sono dubbi che la mascherina sarebbe stata parte essenziale della mia nuova vita. Ho sempre tenuto conto delle necessità altrui prima di compiere qualsiasi azione. Proteggere gli altri è essenziale nella nostra vita, nella nostra società; non siamo esseri isolati e indipendenti e proprio per questo sentiamo un impulso di protezione verso gli altri, a volte anche a costo della nostra vita. In fondo, la mascherina non è un grande sacrificio…
Scaricherebbe l’app Immuni? Accetterebbe un controllo sugli spostamenti degli individui? Starebbe a distanza dai propri simili? Baratterebbe la sua libertà per una forma di sicurezza?
Sono vissuto in tempi nei quali il computer era agli albori e il telefonino era un telefono ‘gigantesco’. Non so se avrei la pazienza di giocare con le app. Il controllo degli individui è una necessità dettata dalla situazione e io non posso negare l’efficacia dei risultati dell’utilizzo di Immuni ma, in gioventù, ho sempre combattuto contro qualsiasi forma di limitazione della libertà personale. Sono un artista, per me la libertà è la cosa più importante. Vorrei però specificare che c’è un po’ di confusione a proposito della percezione di ciò che è la libertà. Essere liberi non vuol dire far sempre ciò che si vuole. Ci sono sempre state delle restrizioni nella vita: a volte poste dalla natura, a volte dal sistema governativo locale. Servono per proteggerci da situazioni che possono farci del male. Non è niente di nuovo e lamentarci perché non possiamo andare di qui o di là non aiuta nessuno. Certo la situazione può diventare pesante, ma dobbiamo tenere sempre conto del bene comune.
Si sarebbe sentito disorientato in questo momento? In cosa avrebbe sperato per il futuro? Cosa ci direbbe? Cosa farebbe?
Siamo tutti disorientati da questo virus che ha causato tanti morti, tanti problemi e degli immensi danni economici. Come potrei non essere disorientato se mi obbligassero a non vedere i miei figli e i miei nipoti? Oppure senza poter andare a dipingere un quadro in campagna? A tutto c’è una soluzione, però. Posso sempre dipingere una natura morta oppure scrivere una poesia…E poi adesso, con la tecnologia che abbiamo, ci si può vedere grazie ai telefonini e ai computer… Tutte queste paure mi ricordano i tempi della Spagnola, quando persi il mio fratellino, che morì proprio davanti a me… Anche allora furono tempi difficili per tutti. Orribili, direi. Il futuro non è altro che un presente differente, in continua evoluzione. Spero si riesca a trovare un vaccino e che la vita torni ad un ritmo normale. Niente di più. Mi auguro inoltre che tutti questi problemi non vengano politicizzati perché non si può far politica sulla vita delle persone. La politica non è filosofia, anche se si può basare su di essa, ma è azione legata a degli ideali comuni.
Cosa definirebbe scuola? Accetterebbe la didattica a distanza?
Io sono un uomo semplice e definisco scuola il luogo nel quale posso apprendere ciò che è necessario per poter far parte, in modo costruttivo, della società. La didattica a distanza è molto interessante ma non è niente di nuovo anche se cercano di farla apparire così. In Australia, dove la popolazione è distribuita su ampie zone, usano da molti anni questo tipo di approccio: hanno iniziato con le radiotrasmittenti e poi con i computer, ottenendo ottimi risultati. Ci sono dei vantaggi: lo studente può rivedere la lezione più volte e così capirla meglio, ma anche degli svantaggi: il principale è la mancanza di contatto sociale sia con gli altri studenti sia con l’insegnante, è questo è un grosso limite da superare. C’è poi da considerare l’ambiente famigliare che non è uguale per tutti, quindi, a volte, questo approccio non è molto valido, bisogna ben valutare le situazioni. Lo smart-working funziona molto bene, chiedetelo pure a mio figlio che lo usa costantemente…
5. E tu Tiziano, cosa pensi di quello che sta succedendo? Quale pensiero ci regali oggi?
Vorrei poter filosofare a proposito della realtà che stiamo vivendo ma qui, negli Stati Uniti, stiamo soffrendo della insostenibile situazione politica che, sfortunatamente, lascia una grande impronta sulla sanità pubblica e sulla salute in generale. Con un presidente che ancor oggi si vanta di non usare la mascherina, organizza manifestazioni durante le quali le norme di sicurezza e di distanza non sono rispettate, si fa fatica a pensare che il prossimo futuro porti buone notizie. Io mi sono ammalato di Covid 19 a marzo. Sono stato fortunato più di altri e ne posso parlare ma la mia famiglia ha passato un periodo non proprio bello a causa di questo virus. Mi duole pensare che la gente sia così ignorante da credere che siccome c’è il sole il virus non c’è più e tutto ritorna come prima automaticamente. Vorrei avere più fiducia negli esseri umani ma sono deluso dall’atteggiamento di molti anche se, qui a New York, la gente si comporta abbastanza bene in riferimento alla mascherina e a tutto il resto. I disordini sociali legati alla violenza contro le minoranze hanno aggiunto altra confusione e, nonostante siano più che motivati, non sono veramente mirati ad un cambiamento sociale, ma portano a dividere ancor più la popolazione. Distruggere la statua di un generale confederato può anche essere simbolico, ma distruggere la statua di Cristoforo Colombo è solo una sfida alla comunità italo-amaericana che è sempre stata a fianco delle minoranze. Le azioni che dovrebbero portare a dei cambiamenti positivi irritano e inimicano altri gruppi etnici e non ottengono nulla di fatto. Perché parlo di questo in relazione al Covid 19? Perché l’isolamento, la quarantena, la perdita del lavoro, a volte la perdita dei propri cari hanno lasciato una profonda ferita nella psiche delle minoranze e non, e i fatti di violenza che affiorano sono anche parte di questa tensione che, chiaramente, è nell’aria a lo sarà per molto. In un altro momento, la gente avrebbe reagito, sì, ma non in questo modo. Il virus ha anche questa responsabilità… sta portando ad una divisione sociale che non è né piacevole né costruttiva, specialmente con una classe politica che butta benzina sul fuoco…
I am proud to announce that I just published (with Leonardo Campanile as co-editor) four volumes of the Rediscovered Operas Series at the same time! A lot of work was involved in this production and we are very proud of these books because they give music students an extra opportunity to not only being able to read correctly the libretto, but to learn about the composer, the lyricist, the theater in which it was performed and other interesting facts…
“Rediscovered Operas Series” was created by our publishing house to propose the rediscovery of some operas of the eighteenth and nineteenth centuries. They were operas written and set to music that, for incomprehensible reasons, have not had the response they deserved in the musical and opera world or had success but have been forgotten through the years. Our goal is to present the original librettos with the proper editing that does not change either the writing style or the language of the original text but corrects any typos and omissions caused by the damage that the original librettos may have undergone.
To this we added a proper but brief biography of the lyricist and of the composer, a story of the theater in which the opera was first performed and, whenever available, prefaces, articles, and introductions of the times that offer a better understanding of the content of the librettos, both as poetic compositions and as tales. We hope that this undertaking of ours will help a rekindling of the interest by musicologists and by the large public in these worthy and marvelous operas.
La collana editoriale “Rediscovered Opera Series” è stata creata dalla nostra casa editrice per proporre la riscoperta di alcune opere dei secoli XVIII e XIX. Erano opere scritte e messe in musica che, per ragioni incomprensibili, non hanno avuto la risposta che meritavano nel mondo della musica e dell’opera o hanno avuto successo, ma sono state dimenticate nel corso degli anni. Il nostro obiettivo è presentare i libretti originali con un editing che non cambia né lo stile di scrittura né la lingua del testo originale, ma corregge eventuali errori di battitura e omissioni causate dal danno che i libretti originali potrebbero aver subito.
A ciò abbiamo aggiunto una breve ma appropriata biografia del librettista e del compositore, una storia del teatro in cui l’opera è stata eseguita per la prima volta e, quando disponibile, prefazioni, articoli e introduzioni dei tempi che offrono una migliore comprensione del contenuto dei libretti, sia come composizioni poetiche sia come racconti. Speriamo che questa nostra impresa contribuisca a riaccendere l’interesse dei musicologi e del grande pubblico in queste meritevoli e meravigliose opere.