NEW YORK E GLI ITALIANI (parte prima).
Articolo di Tiziano Thomas Dossena,
pubblicato su Racconti e Letteratura N. 12, 1999
Per chi vive a New York o negli USA, quali sono le problematiche legate alla propria italianità? Molte, e le investigheremo poco per volta in una serie di articoli che presenteranno le mie opinioni ed esperienze al proposito, esclusivamente per Racconti e Letteratura.
Al lettore potrà sorgere il dubbio che l’autore abbia scelto l’apparente ripetizione dei luoghi geografici nella prima frase senza pesarne bene l’effetto, ma è necessario fin dall’inizio chiarire fin dall’inizio che esiste una differenza sostanziale tra la società americana in generale e quella nuovayorchese.
Chi ha vissuto a New York sa quanto si possa odiare od amare questa città, a seconda delle esperienze personali, ma certamente che non si può rimanerne indifferenti. La vita di New York ti travolge, affascina, coinvolge, annienta, esalta, confonde. La “città che non dorme mai”, come venne definita in una immemorabile canzone di Frank Sinatra, non riflette la mentalità media americana: è una megalopoli futuristica che ritiene in sé peculiarità che la distinguono non solo dalle altre città americane, ma anche da qualsiasi altra città del mondo.
Mario Soldati, in America primo amore, ha spiegato i conflitti immensi di questa metropoli che la condizionano in tutti i suoi meccanismi e ancora oggi molte delle sue osservazioni rimangono valide, nonostante i tanti anni trascorsi dalla pubblicazione del suo romanzo.
Brooklyn, che conta quattro milioni di abitanti, rimane il ghetto che era, a dispetto del tempo, anche se i gruppi etnici si sono dati il cambio nei quartieri meno abbienti. Non è che questa “ghettizzazione” sia un elemento negativo in sé, ma è qualcosa che non può essere ignorata, anzi deve sempre essere tenuta in considerazione nel giudicare gli eventi che molto spesso arricchiscono la cronaca di questa città.
Del resto, la concentrazione di un particolare gruppo etnico o razziale in una zona non è tipico di Brooklyn ma, essendo più che altro frutto del sistema capitalista abbracciato dal mondo occidentale, è diventata una piaga universale nelle grandi metropoli. Solo che a Brooklyn la situazione si contraddistingue per la sua sistematicità. Ci sono quartieri immensi nei quali trovi esclusivamente emigranti di origine ebrea, oppure dominicana. Delle città nelle città, con le proprie caratteristiche demografiche e geografiche che le rendono quasi individuabili al primo contatto visivo. Il concetto “little Italy” o “Chinatown” si è evoluto al punto che non solo una zona è abitata da cittadini di una particolare nazione, ma molto spesso esistono aree nelle quali vivono quasi esclusivamente persone nate in una particolare cittadina o regione.
Troviamo quindi nell’area metropolitana nuovayorchese delle “sacche” nelle quali vivono 20-30,000 persone originarie di Molfetta o di Mola di Bari, oppure di Vedetta dei Lombardi, e così via. Abbiamo quindi una ricreazione dei piccoli e medi nuclei civici all’interno dei “Borough” (Brooklyn, Bronx, Queens, Manhattan, Staten Island), che a loro volta fanno parte della “grande New York”.
Nel Bronx, nel Queens e in Staten Island, questa predisposizione alla polarizzazione è meno drastica e forse tende più a classificarsi su scale razziali o perlomeno a blocchi continentali. In questi quartieri è l’aspetto economico e non l’attaccamento alle proprie radici la barriera che si forma tra i vari gruppi e permette le segregazioni di ogni tipo.
In questa baraonda di nazionalità e razze, il tipico residente nuovayorchese vive e prospera, aspirando al quartiere migliore, dove l’elevazione sociale dovrebbe andare a pari passo di quella economica. In realtà ogni gruppo etnico deve pagare il proprio biglietto, cioè un indeterminato numero di anni di sacrifici ed abnegazione, prima di arrivare ad avere una stabilità economica che gli permetterà di elevarsi socialmente.
I nostri conterranei, chiaramente, il biglietto lo hanno pagato da anni e stanno cogliendo ora i frutti di tanti sacrifici. Cosa vuol dire questo per un italiano che emigra oggi? E cosa rappresenta Manhattan in questo quadro di concentramento etnico a base economica? La risposta a queste domande la troverete nel prossimo articolo…