IL TOUR DE FRANCE E LANCE ARMSTRONG

N.23, VOL. II, 2005

IL TOUR DE FRANCE E LANCE ARMSTRONG

Siamo tutti eroi? Questa domanda mi è venuta in mente allorché, in un articolo di ben tre pagine, il giornale “Daily News” pubblicò una serie di brevi interviste con bambini ed adolescenti dell’area metropolitana, nella quale la domanda principale era “Chi consideri il tuo eroe?” Avrebbero potuto chiedere chi volessero emulare oppure chi era la persona ideale secondo loro, invece usarono proprio la parola “EROE”.  Così scoprii che Ricky Martin, Mike Piazza, Mike Jordan e Brittney Spears sono in realtà degli eroi… Mi venne una tristezza incredibile, quando realizzai che i Muzio Scevola della storia erano stati rimpiazzati da cantanti ed atleti, le cui imprese “eroiche” sono solo degli exploit nel loro campo di lavoro, per quanto eccezionali o appariscenti possano essere. Come si può paragonare il loro successo all’eroismo di chi pone la propria vita a rischio per salvarne altre? Come si può scegliere di rendere triviale l’eroismo, inserendo nella schiera degli eroi questi pur valenti rappresentanti del mondo dello spettacolo o dello sport? Verissimo che questo nuovo uso della parola “eroe” nel gergo americano è accettato da molti, perché allora non trovare un vocabolo più adeguato? La definizione di eroe che ho trovato nel dizionario è “chi dà prova di straordinario coraggio e abnegazione; chi si sacrifica per affermare un ideale” o anche “Nelle civiltà primitive, figura mitica, essere eccezionale al quale la comunità attribuisce imprese prodigiose; nel mito classico, uomo nato da una divinità e da un mortale, dotato di eccezionali virtù”. Abnegazione è definita come “rinuncia, sacrificio di sé, della propria volontà”, quindi molti di noi potrebbero essere considerati eroi, se non fosse per la parola “straordinario”. I nostri sacrifici, le nostre rinunce per ottenere una solidità finanziaria per la famiglia e dare una vita migliore ai nostri figli, persino tutte le ore dedicate agli altri nell’arco di un’attività di volontariato, per quanto possano apparire straordinari e giganteschi a noi stessi ed ai nostri cari, rientrano sempre in una normalità accettata ed accettabile dai molti. Ed ecco che entriamo in merito al Tour de France… Che c’entra il Tour, direte voi? C’entra, eccome. Ho avuto la fortuna d’essere presente alla partenza della 14° tappa del Tour de France presso Cape d’Agde, nell’amabilissima Provenza. L’esperienza fu unica ed irriproducibile. La gente, i colori, tutta l’impostazione del Tour si prestavano ad offrire agli spettatori uno spettacolo impareggiabile. Oltre a ciò, c’era un fattore determinante che rendeva questa versione del Tour importantissima: la presenza di Lance Armstrong. Questo incredibile ciclista statunitense era allora maglia gialla ed era sua intenzione vincere una settima volta questo Tour, battendo il suo stesso record. La tensione era nell’aria. Il pubblico applaudì calorosamente il suo arrivo al tavolo delle firme (una cerimonia che da inizio alla procedura di partenza della tappa), sfatando il mito che i francesi non avrebbero mai tifato per uno straniero, ed in particolare uno statunitense. Io stesso ero in conflitto con le mie radici italiane (Ivano Basso era secondo al momento e così terminò il Tour) e con la voglia matta di tifare per uno dei nostri. È difficile però ignorare Armstrong… La parola “eroe” in questo caso mi viene spontanea alla mente e spero che il lettore mi scusi l’apparente contraddizione. Per capire meglio il tutto è necessario tornare indietro nel tempo di qualche anno, neanche di troppo… Rammento chiaramente i discorsi fatti sottovoce tra gli adulti, quando la parola “cancro” entrava nella conversazione. La malattia andava oltre alla sintomatologia ed alla possibilità di morire, portava ad una condanna sociale di fatto. Chi aveva il cancro diventava un escluso, quasi un paria sociale. Ammalarsi di cancro era come essere contagioso. La gente ti parlava senza guardarti negli occhi e forse cercava di capire se fossi riuscito a farcela. Non dico che molto spesso questo non avvenisse per compassione, ma quell’imbarazzo che si provava a parlarne con il malato era ancor più causa di stress psicologico e gli scavava una trincea attorno che, nella maggior parte dei casi, non veniva più attraversata. Si aveva quasi vergogna di affermare di essere ammalati, come se si avesse una colpa. Avere il cancro era uno stigma che neanche la guarigione riusciva ad eliminare. La vita diventava un’attesa per l’eventuale, possibile ritorno di questo male, e tutte le attività perdevano la loro relativa importanza iniziale. Tanto… Ora, grazie specialmente, ma non solo, ai successi di quest’indomito ciclista statunitense, il cancro non ha più questi connotati. Sopravvivere ad un incontro con questo male ci permette di ritrovare, molto spesso, il sentiero iniziale, e la gente non ti squadra più come un appestato, bensì come uno di loro che è riuscito a spuntarla. L’entusiasmo di Armstrong, che inizialmente è stato spronato dal bisogno di provare a se stesso che il cancro non lo aveva cambiato più di tanto, lo ha portato a risultati che nessuno aveva preso in considerazione come delle possibilità. La sua voglia di vivere e di vincere lo ha portato a superare le aspettative di qualsiasi atleta, e certamente di un “sopravissuto” al cancro. Il suo eroismo consiste nell’aver dato prova di straordinario coraggio e abnegazione e nell’essersi sacrificato per affermare un ideale, vale a dire quello di provare che il cancro non è altro che una malattia. Il suo eroismo ha permesso a tutti noi di guardarci nello specchio e di ritrovare il coraggio di vivere, non solo per ovviare ai bisogni fisici e materiali della famiglia, ma anche per il bisogno spirituale d’essere se stessi un’altra volta, di ritrovare la strada che solo temporaneamente si era persa a causa della malattia. Non più solo sopravvivere, vale a dire restare in vita superando un evento o una condizione sfavorevole, quindi, ma vivere ancora e ritrovare ciò che il cancro aveva tentato di rubarci: la serenità e l’appartenenza a questa società a pari merito d’ogni altro cittadino.