N.17, VOL. II, 2004
AMARCORD.
Il titolo non v’inganni: Federico Fellini e le sue opere cinematografiche non sono l’argomento di questo mio articolo, che vuole invece divagare sui ricordi in generale e sul loro effetto nella nostra vita. Il titolo di questo film, però non è stato usato casualmente. Amarcord è stato, difatti, un film di successo non solo per la sua immediatezza e per le sue artistiche carrellate, ma anche per il profondo messaggio che portava: i ricordi sono parte intrinseca ed indivisibile di noi, della nostra personalità, della nostra immagine. Noi siamo il frutto delle nostre azioni e quindi anche dei nostri ricordi…
I ricordi di ognuno di noi riaffiorano, infatti, in vari momenti della nostra vita, a volte come sfuocate, idilliache memorie, a volte invece come nitidi episodi che riattivano completamente le emozioni provate al momento.
Quando i nostri nonni spendevano serate intere davanti al caminetto a raccontarci gli eventi della propria gioventù, con quei racconti non presentavano solo sprazzi reali, anche se soggettivi, della storia contemporanea. In quei racconti c’erano sempre brandelli della loro vita che riflettevano più o meno accuratamente questi “eroi” della nostra infanzia. Noi siamo quindi anche frutto dei ricordi di altri, siano essi i nostri diretti parenti o gli amici più anziani che si soleva ascoltare in piazza. Persino la storia che ci hanno insegnato a scuola, frutto delle memorie collettive di una nazione, ha una notevole influenza su come vediamo il mondo e la nostra collocazione in esso. Noi siamo anche frutto, quindi, di questi frammenti d’informazione che gli insegnanti hanno cercato, con più o meno successo, di farci apprendere.
Ogni essere umano si distingue dagli altri abitanti del mondo anche perché vede la società attraverso gli occhiali culturali che gli hanno fornito nelle varie fasi della sua educazione, tanto scolastica quanto familiare. Questo spiega il comportamento di alcuni individui cresciuti sotto l’egida di regimi dittatoriali che hanno instillato, attraverso l’insegnamento della storia, oltre alla fedeltà al sistema, anche il disprezzo per gli altri popoli.
Proferire Amarcord (mi ricordo…) è quindi non solo una conferma che gli eventi non si sono scordati, ma addirittura un’aperta dichiarazione che hanno lasciato in noi sensazioni indimenticabili. Questo può avere un’influenza più o meno considerevole nelle nostre azioni. C’è chi dice: “fai del bene e dimenticati, fai del male e pentiti”. A parte il consiglio relativo al comportamento che si può estrarre da questo proverbio, il messaggio si riferisce proprio ad una caratteristica delle nostre capacità mnemoniche, quello di ricordarsi chiaramente di chi ci fa del male. Non sempre, però, è così.
I nostri ricordi, stranamente, negli anni assumono una luce diversa, possibilmente adattata ai nostri bisogni psicologici. Quando necessitiamo di ricordi, negativi o positivi, li “recuperiamo” dal nostro schedario cerebrale e li produciamo immediatamente a nostra difesa o vantaggio. A volte li usiamo come “ancora” in una società che ci sfugge, con la tecnologia prevalente che ci emargina sempre di più, pur dandoci l’errata impressione di essere al nostro servizio. A volte, invece, i ricordi li adottiamo come punto di raffronto con l’odierna società, permettendoci di rimettere a fuoco e rendere più realizzabili le nostre idee, richieste, sogni e progetti in genere.
Del resto ogni generazione ha vissuto una storia diversa da quella precedente ed i ricordi che le appartengono la caratterizzano. Molti di noi, per esempio, sono frutto della generazione degli anni settanta. Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che quando sentiamo una canzone di Gianni Morandi o di Mina ci sentiamo assalire da una malinconia soffusa che ci riporta temporaneamente a quegli anni. Non è che siano stati necessariamente gli anni migliori per la società, considerando il crimine, il razzismo ancora prevalente e la guerra nel Viet Nam, ma sono gli anni nei quali si è passati l’età prematrimoniale, con tutte le sue peculiarità, e sono quindi gli anni nei quali si è posti le fondamenta della propria vita. Rivivere, anche se solo per un attimo, quei ricordi, ci permette di sentire in noi quell’impulso che ha motivato le nostre azioni e che in fondo è la ragione per la quale siamo chi siamo.
Ritrovare vecchie cartoline, lettere, giornali, ci può condurre addirittura in un viaggio complesso e a volte anche doloroso nel passato. Ritroviamo nei vecchi “scritti” un’ingenuità ed una schiettezza che probabilmente sono state eccessivamente mitigate dall’età. Ad una certa età si vuole cambiare il mondo, provare a tutti i costi che certi errori non saranno più ripetuti, e si esprimono questi sentimenti in modo chiaro, senza ambiguità. Rileggersi a distanza d’anni può essere pertanto un’esperienza inebriante, una riscoperta che ci permette di valutare la nostra esistenza. La poesia scritta a sedici anni, per esempio, non racchiude in sé solo delle idee, delle emozioni, bensì l’essenza spirituale della primavera della nostra vita. La validità stilistica non conta quanto il messaggio, l’esigenza di esporre le proprie apprensioni, le tenerezze, la voglia di vivere… oppure di morire. Le immagini riaffiorano inevitabilmente dal nostro passato, assorbendoci in un turbinio d’emozioni. Siamo ancora la stessa persona? Siamo evoluti, maturati, oppure siamo diventati degli individui che quel sedicenne imberbe avrebbe solennemente criticato? Solo noi possiamo rispondere a questi quesiti.
Quello che importa è che noi possiamo, anzi dobbiamo ricordare. I nostri figli contano su di noi…