Intervista a Fred Gardaphe`

Nell’elegante sede dell’Istituto Italiano di Cultura di Chicago è stata presentata per la prima volta al pubblico americano la raccolta di racconti “Importato dall’Italia” di Fred Gardaphè. Il libro è il primo volume della casa editrice Idea Publications apparso nella novella collana dedicata agli autori di origine italiana che scrivono all’estero, con un’enfasi particolare agli italoamericani. Tradotto con una straordinaria sensibilità e rispetto della struttura idiomatica originale dalla dottoressa Silvana Mangione, “Importato dall’Italia” è composto da varie novelle che la traduttrice stessa ha definito “storie che sono cuore e sangue, emozioni e ritorni della nostra gente che vive in America”.

Nel corso della serata, la dottoressa Mangione ha voluto precisare che questo volume è un tipico esempio di “cultura di ritorno” e che “l’emigrazione in Italia non è conosciuta, non si sa cosa siamo, perché è molto più facile catalogare l’emigrazione sotto piccole etichette, che semplificano le situazioni e le comprensioni, quindi si possono mettere nel cassetto e dimenticarle, perché non sono carne viva, realtà e contributi”.

La dottoressa Tina Cervone, direttore dell’Istituto, ha presieduto alla presentazione dei vari oratori che hanno arricchito la serata. Nella sua nota introduttiva, Cervone  si è dichiarata “lieta di appoggiare questa iniziativa (di tradurre in italiano, pubblicare e diffondere scritti di autori italoamericani), nella speranza che i progetti promossi con grande competenza e passione dagli italoamericani residenti negli USA possano finalmente ottenere il meritato riscontro e riconoscimento anche in Italia”.

Il console della Repubblica d’Italia a Chicago, Alessandro Motta, ha lodato altresì l’iniziativa dell’Idea Publications, aggiungendo che il profondo legame di Gardaphè con Chicago rende la presentazione ancora più avvincente.  Il dottor Motta ha inoltre affermato che questo libro “narra storie di profonda umanità, in qualche caso divertenti e in molti casi dolorose e commoventi, storie di lacrime e di sudore, di tenacia e di ricordi vivi che sono quelli delle persone che hanno varcato l’Atlantico tanti anni fa… Queste storie ci raccontano innanzitutto di un’Italia che non è più quella di quell’epoca, ma anche di un’America anch’essa profondamente cambiata”.

Leonardo Campanile, presidente del Circolo Culturale di Mola di Bari, promotore di questa iniziativa, ha brevemente presentato la storia del Circolo e della rivista L’Idea, dichiarando inoltre che “nell’era della globalizzazione e dell’Internet, la carta stampata non ha perso il suo fascino, anzi continua ad essere il mezzo di comunicazione più economico e pratico”. Campanile ha voluto ringraziare i presenti e la regione Puglia, oltre all’autore, la traduttrice la redazione de L’Idea, senza i quali il libro non avrebbe venuto alla luce, e ha concluso affermando che “questo libro è il primo della collana che dovrà essere uno strumento trainante di una cultura di ritorno”.

La dottoressa Mangione ha terminato le introduzioni, esprimendo gratitudine ai colleghi Consiglieri del CGIE presenti in sala (rappresentanti del Canada, Australia, Sudafrica e USA), che “con buchi di fusi orari che vanno da una a quattordici ore, sono tutti qui e hanno ascoltato con estrema attenzione tutto quanto è stato detto finora”.  Un ringraziamento particolare è stato fatto, inoltre, ai senatori Basilio Giordano (Canada), Lino Randazzo (Australia), Renato Turano (USA) ed al capo della delegazione senatore Luciano Cagnè.

Prima di leggere con enfasi uno dei racconti appena pubblicati, Fred Gardaphè ha gentilmente offerto ai presenti la versione originale in lingua inglese dei suoi racconti, manifestando la propria gioia in questa pubblicazione, che combacia con il 30o anniversario del suo primo viaggio in Italia, dichiarando che con questo libro aveva “ voluto far sentire ai lettori quello che provai dopo il (mio) primo viaggio” e che la sua famiglia ed i suoi amici in Italia potranno leggere le sue storie per la prima volta.

Al termine dell’incantevole serata, l’autore ci concesse gentilmente un’intervista.

L’IDEA: Ho letto le sue novelle ed ho notato che c’è un personaggio che vi ricorre: Frankie. Sono curioso di sapere se è una persona esistita, una realizzazione autobiografica, oppure è un personaggio completamente di fantasia.
Gardaphè: Frankie sono io, con la possibilità di poter dire tutto quello che posso dire.

L’IDEA: E gli altri personaggi?
Gardaphè: Alcuni sono fondati su gente conosciuta, ma molti sono un impasto di varie persone con le quali io ho creato un personaggio unico. Sono basati su gente esistita, ma a volte… quando ero giovane, sentivo raccontare storie da tutti e più avanti con gli anni, è ciò che è rimasto di quelle storie che mi ha attratto. Posso anche non essermi ricordato tutti i dettagli, ma mi rammento quando entravo da Rocky’, sulla 5° Avenue di Baywood, nello Stato dell’Illinois, e non conoscevo nulla di lui (del proprietario), ma avevo sentito la storia che parlava di lui. La novella “Con Amore” è completamente frutto della mia immaginazione, non c’è mai stato nessuno che ha perso le dita di una mano a causa della morra, ma quando ero bimbo, avevamo un detto che affermava “Sei così duro, eh? E via con le dita!”, ed io ho cercato di spiegare cosa volesse dire. Un altro racconto, invece, è impostato su vari eventi da me appresi nel corso degli anni. La maggior parte dei racconti fu scritta tra i ventisei e i trentacinque anni, e in quel particolare periodo ero preoccupato di tutto ciò che fosse italiano nella mia esistenza. In precedenza, non ci avevo prestato attenzione e cercai disperatamente di catturare tutte le esperienze prima di perder l’occasione, prima di avere figli. Erano proprio gli inizi. Alcune di quelle storie le scrissi in dialetto, affinché i miei figli le avessero potute comprendere appieno e fossero spronati a ricercare il loro passato.

L’IDEA: In questa raccolta di racconti, qual è quello con il quale s’identifica di più come autore e perché? Gardaphè: Io penso che riflettono tutti la mia presenza di scrittore, ma mi sento più legato con la novella che dà il titolo al libro, “Importato dall’Italia”, perché crebbi con quella storia e vinse il premio letterario nazionale UNICO, del quale Pietro Di donato era uno dei giudici, uno scrittore che ho cercato di emulare. Oltre a ciò, con quel racconto ho cercato di trascendere la realtà per creare qualcosa di mitico. Avevo un messaggio per le generazioni future: che forse era opportuno conservare quella lattina di tonno, perché potrebbe essere tutto ciò che rimane loro per creare un’identità.

L’IDEA: “Olio e aceto” e “Importato dall’Italia”, due racconti che sono anche due opere teatrali. Quale nacque prima, il racconto o la commedia?
Gardaphè: Una volta lessi la novella “Olio e aceto” nel corso di una manifestazione, e uno degli ascoltatori mi disse: “Ma questa è una commedia! Perché non la riscrive come commedia?” E così feci. La produssi a Chicago e fu un grande successo. Il mio problema più grosso è che avrei voluto scrivere in Italiano, ma le persone di cui parlo, quelle che sono parte essenziale di questi racconti, l’italiano non lo leggono più, e così mi trovai a scriverle in inglese. Questo libro, per me, serve a provare ciò che mio nonno sentì quando arrivò negli USA. Avendo imparato l’italiano solo negli ultimi anni e conoscendo il dialetto minimamente, posso comprendere alcune di quelle sensazioni, che io stesso sperimentai quando visitai l’Italia la prima volta.

L’IDEA: Secondo lei, vi è una carenza di racconti che trattano l’esperienza italoamericana?
Gardaphè: No, non penso proprio che vi sia una carenza di racconti, ma solo poca consapevolezza della loro esistenza. Ci sono molti scrittori che scrivono su argomenti italoamericani, ma nessuno presta loro attenzione. Non scrivono sulla Mafia oppure di sesso e violenza, e forse questo li esclude dall’attenzione dei critici. Io ho sempre predetto che ci sarà un rinascimento della cultura italoamericana. Penso che la serie televisiva “I Soprano” sia stata la fine di un genere, poiché dopo di questa, non si è parlato più di Mafia nel cinema americano. Non voglio annunciarne ufficialmente la morte, perché ho paura che ritornino come dei vampiri e ci succhino il sangue un’altra volta. Ne hanno succhiato già tanto e per troppo tempo dalla cultura italoamericana.

L’IDEA: Fred, lei è il coeditore di Fra Noi, una rivista bilingue di largo pubblico, e editore di Voices in Italian Americana, una rivista che definirei accademica. Come riesce a trovare un equilibrio nel collaborare come editore a due riviste così differenti?
Gardaphè: Io mi sono sempre sentito a mio agio sia fra la gente comune sia nel mondo accademico. Quando frequentavo la Sedgewick High School, una “college preparatory school” che è simile al liceo classico italiano, io studiavo greco e latino, e poi ritornavo nel mio quartiere, nel quale il greco e il latino non avevano alcun valore per me. Devo confessare che, perlomeno, il latino mi servì a diventare un ottimo chierichetto.  Ad ogni modo, alla gente del quartiere non interessava che io avessi tutta questa istruzione. Mi chiedevano: cosa sai fare, con le tue mani? Io volevo connettere questi due mondi che mi appartenevano entrambi, e oggi ci riesco, veramente, io riesco a raccogliere fondi per i miei programmi proprio perché so parlare alla gente… e poi, io ho conseguito il mio PhD (dottorato) dopo i quarant’anni. Non diventai un accademico… ecco, ero sempre un accademico riluttante, anzi, lo sono ancora, e questo è il punto risolutivo.

L’Idea: Proprio come Mario Soldati, che odiava il mondo accademico…
Gardaphè: Io amo insegnare, odio la politica del sistema.

L’Idea: Ha dei progetti per il futuro che possano interessare i nostri lettori?
Gardaphè: Sto finendo di scrivere un romanzo a titolo “Il Buon Professore”. Parla di un uomo che tutti stimano essere una brava persona, ma che in realtà nasconde qualcosa…